A cura di Umberto Moioli.
La sveglia suona, fuori dalla finestra la luce timidamente inizia ad illuminare i tetti delle case e a riflettersi sui vetri delle finestre. Tutto gira ancora a rilento, ma non i battiti del tuo cuore perché quella sveglia decreta l’inizio di una giornata che attendevo da troppo tempo. Una giornata in pista.
Pimpante come sotto l’effetto di una lattina di RedBull alla goccia mi alzo dal letto e vado in cucina per una colazione veloce. In salotto tutto il necessario è già pronto e aspetta solo di essere caricato sul furgone: tuta, casco, guanti, stivali, paraschiena, una GoPro e l’immancabile t-shirt portafortuna che non manca mai quando è giornata da “scanno”, quella maglietta quasi sacra che ti rassicura quando sai cosa stai andando a fare e vieni colto da quel primordiale timore per ciò che potrebbe andare storto.
Finisco il mio caffé, mi preparo velocemente ed ecco che quella tanto attesa chiamata viene annunciata dalla suoneria del cellulare: il mio “compagno di squadra” è arrivato ed è pronto a partire. Come un bambino pronto alla sua giornata a Disneyland Paris, raccatto veloce la borsa e lo zaino, faccio un rapido check così da assicurarmi di non aver dimenticato nulla, telefono, sigarette, un saluto in casa e via. La mia moto è già ad attendermi legata all’interno del furgone, accanto alla sua sorellina in abito verde; e dopo aver posizionato tutto l’occorrente per la giornata all’interno del cassone, salgo in macchina. Direzione Cervesina, circuito Tazio Nuvolari: si parte!
È difficile spiegare come ci si sente durante il viaggio che ti separa dal paddock di un tracciato: spesso l’eccitazione è così tanta, la voglia di infilarti la tuta, accendere il motore e fiondarti tra i cordoli è così dirompente che neanche riesci più a parlare. E rimani lì, qualche volta in silenzio, godendoti il paesaggio che sfila via veloce, senza preoccupazioni. E poi, finalmente, la vedi: quel lembo di asfalto così perfetto, quelle curve ora da raccordare ora consecutive e veloci, contornate da quegl’inconfondibili cordoli bianco-rossi, l’ingresso che recita “Benvenuti, Circuito Tazio Nuvolari”. Sì, l’attesa è finita. Siamo arrivati. Ad attenderci già in paddock c’è un amico di Daniele (il mio “team-mate”), con il suo GSX-R 1000 prontopista, che dopo i saluti di rito ci aiuta immediatamente a montare il gazzebo, a tirare giù le moto, il compressore, le valige degli attrezzi e le ciabatte per le termocoperte. Alziamo le moto sui rispettivi cavalletti, mettiamo le gomme al caldo e sistemiamo le seggiole all’ombra, pronte per farci sentire come “piloti ufficiali” al ritorno di ogni sessione.
Mi accendo una sigaretta e mi guardo intorno: essendo un lunedì mattina la pista non è così affollata, ma di qua e di là ci sono ragazzi e uomini di tutte le età intenti a prepararsi a vivere la mia stessa passione. Non ho mai visto nessuno di loro prima d’ora eppure è come se rivedessi me stesso in ognuno di essi, perché l’amore per le moto, per la velocità, quello che sacrifichiamo e che rischiamo per questa cosa chiamata “motociclismo” è la stessa identica. I volti sinceramente sorridenti, chi non esita a prestare il rotolo di nastro americano appena comprato al vicino che lo ha dimenticato, chi si ferma a scambiare due parole, ora sulle rispettive moto, ora sui tempi che ci si aspetta di siglare più tardi in pista, chi condivide qualche consiglio su questa e quella curva. Insomma, non c’è da meravigliarsi se malgrado siano tutti degli sconosciuti, la sensazione che si riceve nel guardarli è quella di aver ritrovato tanti membri della propria famiglia semplicemente mai visti prima. Mentre mi godo quel quadretto idilliaco, il tempo scorre veloce ed è il momento di salire in aula per il tradizionale briefing per coloro che girano per la prima volta su questo tracciato: analisi della pista, regole di comportamento per evitare situazioni di pericolo inutili e via, la pit-lane è aperta. E’ tempo di accendere i motori.
Tutt’intorno, nel cielo di Cervesina incominciano a risuonare gli splendidi e potenti motori delle supersportive 600 e 1000, mentre i piloti si chiudono le tute, sciolgono i muscoli con dello stratching veloce, una lucidatura alle visiere, qualcuno che si cimenta nel proprio gesto scaramantico e, un po’ alla volta, ci si dirige verso l’ingresso della pista, dove ad attenderci all’ingresso della pit-lane ci sono un paio di commissari: una pacca alla schiena per assicurarsi che il guscio sia inserito all’interno della tuta e finalmente il segnale che puoi entrare! Assicurandomi che nessuno degli altri piloti in pista stia soppraggiungendo in fondo al rettilineo, mi immetto in pista e apro il gas. Sì, non è un sogno, sono finalmente di nuovo in mezzo ai cordoli di un tracciato, io e la mia amatissima Kawasaki Ninja bianca, dalla quale sento come pronunciare un sussurrato “Forza, è il nostro momento. Andiamo a divertirci”.
Inizio a prendere confidenza con le curve del tracciato, mentre le Pirelli Supercorsa SC1 iniziano ad entrare davvero in temperatura; ma esattamente come mi aspettavo, alla prima sessione non ci puoi capire molto della pista, specialmente quando sono due anni che non metti piede all’interno di un circuito. Eppure il divertimento è incommensurabile e, curva dopo curva, comincio a sentire sempre più feeling, ad allungare sempre più le staccate e ad aprire con maggior anticipo il gas. Dopo circa 35/40 minuti volati alla velocità della luce, imbocco la via per la pit-lane e ritorno al nostro “box”. I miei compagni erano già rientrati e così mi aiutano a sistemare la Ninja sui cavalletti e a rimontare le termocoperte. Con un sorriso che il casco non è più in grado di contenere, mi accendo una sigaretta e diamo il via alla danza dei commenti: “C**zo, però bello il tracciato”, “Hei, ma la S veloce!?”, “Io però devo ancora capire la prima staccata in discesa” e via discorrendo. Un pranzo veloce passa così, riprendendo anche fiato e specialmente liquidi, perché la giornata è più calda del previsto e sotto la tuta pare di stare in una sauna finlandese. Lasciata passare una buona mezzora, decido di tornare in pista. Il best-time della prima sessione è decisamente alto e, riaccendendo la moto, mi dirigo verso l’ingresso della pit-lane con un chiaro obiettivo. Rapido check al paraschiena da parte del commissario ed ecco che si torna a spingere. Fin dalle prime curve mi rendo subito conto che il feeling, sia con la moto che con il tracciato, è cambiato, ora “sento” tutto con una percezione diversa, più precisa.
Con il casco bello schiacciato sotto il cupolino snocciolo le marce sul rettilineo principale: 2a, 3a, 4a, 5a. Il contachilometri segna 232 Km/h ad una manciata di metri prima del cartello dei 100m, dove mi attacco ai freni e inizio a staccare. Con il casco schiacciato sulla faccia a causa dell’effetto vela, scalo due marce e – consapevole che avrei potuto ritardare ancora di qualche metro la frenata – lascio la leva del freno e faccio scorrere veloce la moto all’interno del primo, meraviglioso curvone da fare almeno a 125 Km/h in 3a marcia. Con la saponetta che striscia violentemente sull’asfalto, passo il punto di corda, riprendo il gas in mano e, allargandomi sulla sinistra, appoggio per pochi secondi la 4a velocità, per poi scendere immediatamente in 2a marcia: piegone da destra, per una curva a raggio irregolare che ti chiede di uscire verso sinistra, quindi tirare la seconda verso destra, frenare, scendere in prima e spigolare verso sinistra. Senza ombra di dubbio questa è la curva più lenta dell’interno tracciato di Cervesina, ma appena ripreso il gas in mano, si butta dentro la 2a e quindi la 3a marcia, pronti ad affrontare la caratteristica “S” veloce del Tazio Nuvolari. Con le saponette che strisciano prima da una parte e poi dall’altra e con il motore che urla a 14.000 giri, mi lascio alle spalle questa magnifica variante e mi porto di nuovo sulla sinistra: via una marcia, spigolo ancora verso destra e riporto nuovamente la lancetta dei giri al bordo del limitatore. Quello che mi aspetta dopo è una stupenda doppia curva a sinistra a raggio irregolare che permette dei piegoni pazzeschi in pieno stile Scott Redding, che esalta i piegatori come il sottoscritto. Su la moto, gas di nuovo in mano e dentro un’altra marcia. Ancora passaggio 3a-2a, infine, per affrontare la variante lenta di Cervesina, anche questa volta da sinistra verso destra, tenendo quindi il gas parzializzato pronto per affrontare il bellissimo curvone che immette sul rettilineo principale.
Sfortunatamente il tempo vola troppo in fretta quando ti dedichi a ciò che rende la tua vita felice e speciale; e così, ancor prima di rendermene conto, la bandiera a scacchi viene fatta sventolare, inequivocabile segnale che la giornata si è conclusa, ed insieme a me tutti gli altri piloti rimasti ancora in pista prendono la via per la pit-lane e fanno ritorno ai rispettivi “box”. Mi accendo di nuovo una sigaretta e mi godo quel momento di assoluta tranquillità: l’adrenalina inizia a calare ma non l’euforia, la Ninja è sana e salva e, accarezzandole il serbatoio, ora è il mio turno di sussurrarle dolci parole. Perché è stata fantastica e ogni volta che sono sulla sua sella, lei sa regalarmi emozioni uniche, incomparabili e, malgrado l’obiettivo desiderato non sia stato centrato per un paio di secondi (anche a causa del traffico dovuto alla Open Pit Lane) ci siamo portati a casa un tempo di tutto rispetto, considerando la moto completamente stock e per esser stata la prima volta su un circuito mai visto a due anni dall’ultima volta in pista. Ricaricato il nostro furgone e dopo aver salutato qualche nuovo amico conosciuto nei gazzebo vicini al nostro, è tempo di lasciare il Circuito Tazio Nuvolari dopo una magnifica giornata che non poteva andare meglio di così. E questa volta, mentre il paesaggio torna a scorrere veloce fuori dal finestrino, è un senso di assoluta calma ad accompagnarmi sulla strada verso casa. E’ proprio vero: al mondo non esiste nulla di più bello dell’andare in moto.