A cura di Claudio Boscolo.
È il 25 aprile al Lausitzring e, in una giornata come tante sul circuito brandeburghese, Audi porta in pista la sua R8 Sport per una sessione di test in vista della 24 Ore di Le Mans che si terrà da lì a poche settimane.
Poi, secondo la ricostruzione ufficiale, uno pneumatico perde gradualmente pressione e la R8 finisce fuori strada urtando la recinzione per poi cappottarsi.
Uno schianto tremendo che vent’anni fa ci portò via Michele Alboreto.
Il triste epilogo di uno dei volti più amati, apprezzati e talentuosi del motorsport italiano giunge così in quella che a tutti gli effetti dovrebbe essere una giornata di festa.
A vent’anni di distanza sia l’affetto che il ricordo di Michele restano intaccati da parte sia di tutti i suoi tifosi sia dalle nuove generazioni a sostegno di quanto il suo apporto per il movimento sia stato importante.
La figura di Alboreto non è confinata solo all’ambito prettamente sportivo ma si espande anche e soprattutto nella “pop-colture” di fine anni ’80 e durante gli anni ’90. Tra una presenza sulla più che celebre rivista Topolino e una striscia su Michele Vaillant passando per diverse conduzioni in compagnia di Zermiani e una presenza a Quark in pillole (si, l’antesignano di Superquark) Michele entra prepotentemente nelle case degli italiani non solo come pilota.
Resta sicuramente l’eroe che ha fatto sognare nuovamente il tricolore sul tetto della F1 ben trentadue anni dopo Ascari ma anche l’amico da vedere in televisione.
Resta il vessillo del sogno del tifoso italiano che ha bramato l’inno di Mameli sulla Rossa. Alzi la mano chi di noi non ha mai, anche solo una volta, desiderato ardentemente provare questa sensazione.
“A Michele dobbiamo un mondiale”, parole che escono da una bocca insolita, parole proferite da chi ha creato la leggenda della Ferrari.
Perché se si arriva a far ammettere un errore e strappare delle scuse al Drake devi essere davvero speciale.
Tutta la carriera di Michele lo è, a dire il vero.
Un podio e una vittoria nella sua seconda stagione assoluta in F1 al volante di una Tyrrell che pian piano sta abbandonando i fasti del periodo di Jackie Stewart e si avvia sempre di più all’anonimato.
Un’altra vittoria nella stagione successiva e poi il sogno: le porte di Maranello che si spalancano.
Dopo un ritiro e una undicesima posizione lo sguardo inizia a farsi scettico nei suoi confronti e poi la prima vittoria in rosso a Zolder a cui seguiranno altri due trionfi nella stagione successiva.
Si arriva al 1985 dove il sogno mondiale si infrange sull’inaffidabilità della Ferrari sul finale di stagione.
Da lì in poi la carriera in rosso di Michele si mantiene su standard comunque elevati portando a casa podi e prestazioni importanti fino all’epilogo della propria carriera nella scuderia di Maranello con il ritiro in gara ad Adelaide.
Dopo la parentesi in Ferrari il buon Michele fatica a trovare sedili all’altezza del suo talento: ritorno in Tyrrell ormai più Larousse che altro poi un annetto in Arrows e un paio di stagioni in Footwork per concludere con Scuderia IItalia e Minardi dove porterà a casa l’ultimo punto della sua carriera in F1.
Tuttavia la carriera nel motorsport di Alboreto è tutto fuorchè conclusa e infatti avviene il ritorno verso il primo grande amore di Michele: le ruote coperte.
DTM, IMSA, una piccola parentesi in Formula Indy e poi il grosso del suo impegno rivolto alla 24 Ore di Le Mans che vinse nel 1997.
Vent’anni fa ci lasciava, come detto in apertura, un gentiluomo, un pilota, una fonte di ispirazione per tantissimi ragazzini col sogno di diventare il volto della Ferrari.
Più di tutti ci ha lasciato un grande talento e il rimpianto che non sia riuscito a completare il proprio progetto per rendere più accessibile il motorsport ai giovani.
Non solo un pilota, non solo l’ultimo amato dal Drake ma una leggenda il cui ricordo fa inumidire gli occhi agli appassionati.
Ciao Michele.