A cura di Umberto Moioli.
Sì, è brutto ammetterlo, ma gli anni passano. Anzi, volano proprio, ed una dopo l’altra si susseguono le generazioni, e con esse tutte le novità che ogni nuovo corso sa portare. Spesso in bene, ancora più spesso in peggio, o forse siamo solo noi che rimaniamo troppo attaccati al passato, un passato che sentiamo nostro perché abbiamo vissuto “quegl’anni”, o forse perché – e chi è più giovane saprà capirmi – in ciò che è moderno, elettronico e “più sicuro”, manca quella vena di eroismo dei tempi che furono, quando l’uomo faceva ancora la vera differenza rispetto alla macchina, ed il pilota sapeva davvero conquistarsi il rispetto degli altri e “sopra” gli altri.
Malgrado, però, gli anni siano passati, e con essi le macchine, i motori e le turbine, le progettazioni e le preparazioni, gli assetti, le prestazioni ed anche semplicemente il modo di fotografarle, quello che tuttavia è rimasto intatto sono tutte le emozioni che le auto riescono a suscitarci, lasciandoci spesso a bocca aperta davanti alla loro magnificenza, ai dettagli o alla bellezza delle loro componentistiche. Ciò che non è cambiato è il modo in cui ci si sente rapiti visceralmente nel guardare una vettura che sai benissimo che non ti potrai mai permettere, ma non importa, perché un appassionato vero non è capace di denigrare una vettura per pura invidia, ma ne vedrai invece trasparire l’autentica e concreta dimostrazione che l’amore platonico esiste, quell’amore così puro ed assolutamente disinteressato, che non vuole nulla in cambio.
Ciò che non è cambiato sono gli occhi spalancati, stupiti ed ammirati dei bambini che vedono per la prima volta delle vetture di cui non sanno assolutamente nulla, ma che nel profondo riescono immediatamente a capire che ciò che hanno di fronte non sono semplicemente degli ammassi di ferro, ma qualcosa di ben diverso, di vivo, e si lasciano meravigliare e coinvolgere da quel loro rumoroso ruggito, che tra qualche anno li porterà a girarsi, interrompendo una conversazione, ogni qualvolta ne sentiranno uno avvicinarsi, o ritrovandosi ad esaltarsi quasi senza senso insieme ad amici dalla stessa passione, per liberatorie ed ignoranti sgasate al cielo.
E la cosa più bella è sapere che non importa quanto ancora le macchine cambieranno, non importa quanto sapranno ancora andare più veloci o chissà che altro; la cosa più bella è sapere che noi saremo ancora lì ad ammirarle e a sentirci felici anche soltanto a guardarle da fuori. Perché una passione così non è qualcosa che arrivati ad un certo punto potrai dire “anche io ho avuto quella fase delle macchine“; no mi spiace, da questa passione non c’è cura e personalmente, non mi importa di quanto sia costosa, di quanti sacrifici si facciano, e di quante volte le abbia maledette e continuerò a maledirle le auto. Posso solo ringraziare di essere nato con questa “malattia” e che, malgrado tutto, avrò sempre almeno QUELLA ragione che saprà rendermi felice fino alla fine dei miei giorni.