A cura di Umberto Moioli.
I motori si sono già ammutoliti, la sessione di Libere è ormai terminata e le macchine sono tornate in Pit-Lane, ferme davanti ai rispettivi box. C’è chi sistema alcuni dettagli, i piloti parlano con i propri tecnici sulle sensazioni ricevute dalle vetture durante gli ultimi giri della giornata, c’è chi inizia a fare delle prove di pit-stop in vista di quella che sarà la dura 3 Ore monzese del Blancpain GT Series, mentre altri ancora passeggiano curiosando ed ammirando queste poderose macchine da corsa, che al solo guardarle riuscirebbero a scuotere il cuore di un apatico senza speranza. Nel mentre le luci calde di questo tramonto primaverile irradiano il leggendario Tempio della Velocità, chiudo gli occhi, inspiro profondamente per far mio quel miscuglio di odori e profumi tipici degli autodromi in tempo di gara, e mi preparo ad assaporare quella scena così idilliaca, così tranquilla, ma di assoluto preludio ad un evento sportivo in cui a darsi battaglia saranno ben 50 vetture portate all’estremo delle proprie possibilità tecniche da piloti che, abbassata la visiera, avranno come unico obiettivo quello di andare al massimo. Perché al di là delle macchine, dei motori, dei freni, della telemetria, delle gomme, dei secondi di gap, dello show che accompagna come tradizione questi eventi, ma anche degli stessi vincitori, a godersi un simile momento si intuisce pienamente il significato di quella volontà che spinge una persona a salire in una macchina carica di benzina e cavalli e a rischiare, rischiare di essere il numero uno e al tempo stesso di non tornare più ai box. Perché fondamentalmente senza un animo in continuo conflitto non si può provare il desiderio di correre: il desiderio di vincere, la volontà di prevalere sugli altri dimostrando al pubblico, ma prima ancora a se stessi, il proprio valore, il volere essere sempre più veloci provando quella sensazione di invincibilità e al tempo stesso fare i conti con il nero fantasma della morte, che è lì, che si sfida apertamente con la (finta) convinzione di poterlo ingannare sempre. Sì, queste persone sono in qualche modo speciali; e non importa che questo o quel pilota abbia più sponsor o più soldi da spendere per assicurarsi la vettura od il team migliore, perché alla fine quando il semaforo rosso si spegne, dentro a quegli abitacoli il rischio che Loro si prendono sono esattamente gli stessi, quel mix di eccitazione e paura che li accompagna prima di una gara e la volontà che li ha portati lì ha la stessa identica radice che rende il motorsport così epico e drammatico allo stesso tempo. E’ un mondo che va vissuto con un animo perennemente alla ricerca di quel limite che divide il tutto dal niente, un limite così sottile che si manifesta in tutta la sua dirompente tangibilità proprio in quei momenti in cui un solo km all’ora in più può fare la differenza tra un epico sorpasso in esterno curva e quel terribile momento quando senti le gomme perdere di aderenza con la macchina che parte per la tangente puntando le barriere a quasi 200 all’ora senza più possibilità per il pilota di riprendere il controllo della sua macchina. E personalmente, non credo che esista modo migliore di vivere.