A cura di Claudio Boscolo.
Terzo gran premio in carriera a 34 anni: un rookie nel mondo della Formula 1.
Il giro di lancio aggressivo con un pizzicotto piuttosto forte ad un cordolo con l’ala anteriore: l’appendice aerodinamica non regge il carico, il flap vola via nei pressi della curva del Tamburello, quasi un presagio per quanto accadrà nella giornata seguente.
La Simtek numero 32 diventa un dardo scagliato ad oltre 314 km/h verso il muro esterno della curva Villeneuve.
Il capannello di medici e commissari fa da sipario sulla vita di Roland Ratzenberger.
La storia lo consacrerà come “quello dal nome difficile morto il giorno prima di Senna”.
Di sicuro si è saltata la parte dove un ragazzo, con un sogno ben chiaro in testa, ha lottato per raggiungere la categoria regina delle ruote scoperte.
Dapprima la gavetta nelle serie minore tedesche fino a farsi notare oltremanica.
L’approdo nella Formula 3 inglese, sempre solido e veloce, ma la chiamata, quella che vale una vita, non arriva ancora.
Perché non tentare il colpaccio nella 24 Ore di Le Mans?
La sorte decide ancora una volta di voltare le spalle al pilota di Salisburgo: è ritiro dopo poche ore di gara.
Roland, però, non molla le ruote scoperte e, parallelamente alle gare Endurance, corre anche nella F3000 giapponese.
Qualche vittoria ma ancora non basta per arrivare in Formula 1.
Nel 1993 la svolta: vittoria di classe C2 nella 24 Ore di Le Mans con la Toyota 93C-V e quinto assoluto.
La chiamata arriva.
La neonata Simtek motorizzata Ford decide di puntare su di lui.
Il compagno di squadra ha un cognome importante: Brabham.
Proprio il figlio del leggendario Jack, co-fondatore del team omonimo e tre volte campione del mondo di Formula 1.
L’esordio in Formula 1 per Roland è difficile, fuori dalle qualifiche mentre David Brabham riesce a portare la Simtek in griglia (e al dodicesimo posto a fine gara).
Si vola in Giappone per la seconda tappa, Gran Premio del Pacifico.
La prima qualifica per Ratzenberger, la prima ed ultima bandiera a scacchi. Chiude in undicesima posizione.
Il Circus piazza così le tende a Imola.
Leggendario quanto temibile circuito.
Il venerdì si apre con il grave incidente di Rubens, impatto durissimo fortunatamente senza risvolti fatali.
Roland riesce ad ottenere un tempo buono per partecipare alle qualifiche e, purtroppo, al suo appuntamento col destino.
Roland non era solo la bandiera austriaca che Ayrton avrebbe sventolato al traguardo e nemmeno “quello morto il giorno prima di Senna”. Era quello che non ha mai smesso di credere nel suo sogno di arrivare in Formula 1 neppure quando tutto era contro di lui.
Una lezione di vita e di coraggio di un uomo che, a 34 anni, ha sempre creduto fino in fondo di poter realizzare i propri sogni di gloria.
L’eredità di un combattente caduto mentre viveva il proprio sogno.
Non stiamo parlando di un futuro campione del mondo o il più grande talento grezzo che abbia mai calcato il panorama motoristico mondiale ma di un uomo che non merita solo una distratta menzione, quasi fosse una semplice comparsa nel week end più triste della storia della F1.
Merita il rispetto che si deve ai cavalieri del rischio e non la damnatio memoriae.
Perché non diventi il milite ignoto della Formula 1.
Auf Wiedersen Roland.