A cura di Umberto Moioli.
La mia sarà anche una crociata, forse una di quelle cause perse in partenza delle quali frega (forse) solo a quegli ultimi duri e puri rimasti, eppure non mi stancherò mai di dirlo: dello “show” ne abbiamo le palle piene.
Si è da poco conclusa l’ultima edizione del Monza Rally Show, “competizione” ancora una volta vinta dal “Dottore”, che tuttavia non è riuscito ad aggiudicarsi anche il Master Show, soccombendo al connazionale Tony Cairoli in evidente inferiorità di vettura. Eppure, ancora una volta si conclude un’edizione in cui a far da protagonisti sono stati i “personaggi” e non i piloti, le macchine o il “rally” vero e proprio.
Se nel corso degli ultimi anni i piloti MotoGP, i vari ed eventuali Guido Meda e compagnia bella erano la calamita di questa manifestazione “sportiva”, il trand è destinato a cambiare ancora una volta (non in meglio) e, tra una Berlato e l’altra, non mi meraviglierei se nel corso delle prossime edizioni trovassimo al volante sempre più YouTuber o personaggi dal grande richiamo mediatico ma dall’eufemisticamente dubbio valore tecnico-sportivo (Vi ricordate la figuraccia epica di Ken Block, vero?). Nel mentre, però, il Monza Rally Show continua a richiamare a sé orde di pubblico pagante e urlante per l’intera durata del week-end, i fine settimana di gara di Aci-Csai, ad esempio, con le magnifiche GT3 a darsi battaglia, trasformano l’Autodromo in qualcosa di più simile al deserto dei tartari. Ma GT Open, TCR e varie altre categorie e campionati non sono esenti dal discorso. Ma se da una parte le organizzazioni sono colpevoli di una gestione pubblicitaria dei loro “prodotti” totalmente inadeguata con i tempi moderni e molto spesso addirittura inesistente, dall’altra parte è lampante come la cultura del motorsport e dell’automobilismo in generale stia andando sempre più a scemare in favore dei vari personaggi del momento capaci di bucare la rete. E allora chissenefrega di piloti di primissima classe come i nostri Mattia Drudi quando ci sono i vari Sinnaggagghiri e co. che tra un urlo e l’altro raccolgono a sé più pubblico di quanto non faccia il Blancpain a Monza. E quindi bho, probabilmente avranno ragione loro e chi vi scrive è soltanto un giovane dinosauro innamorato ancora di quello spirito che animava le corse di un tempo, dove lo “show” era dentro la pista e non fuori di essa, ma lasciatemi dire che quello che vedo al giorno d’oggi non mi piace per niente. Per fortuna esistono ancora luoghi magici come Macau e l’Isola di Man, dove anche al più sconosciuto e lento dei piloti viene tributato il rispetto che merita per ciò che fa e non “braccato” per un selfie con cui ottenere Like su Instagram.