A cura di Claudio Boscolo e Giuseppe Di Florio.
Era dal 2019 che Suzuka non ritornava sugli schermi degli appassionati di Formula1e, quale modo migliore di tornare, se non con un a gara da “delirio e paura”.
Già dalle prime immagini era prevedibile aspettarsi una gara non proprio tranquilla e noiosa.
La pioggia a Suzuka ha sempre significato grande spettacolo nel bene e nel male.
In questo GP però lo spettacolo è stato decisamente negativo.
Ad offuscare la bellezza di una gara al cardiopalma, come al solito, c’è lo zampino della FIA.
Abbiamo capito che ogni volta che la FIA si rende protagonista non lo fa mai con accezione positiva.
Già dal sabato, con la bislacca decisione su Verstappen, le premesse non erano delle migliori.
A condire il tutto ci si è messa anche la pioggia.
Come detto prima le condizioni atmosferiche avverse sono sempre state il sale di Suzuka e, contestualmente, il più grande punto debole della FIA.
Dopo soltanto due giri siamo sotto regime di bandiera rossa.
In questa occasione, però, abbiamo la compartecipazione dei team stessi che, scommettendo su una mescola più prestazionale, hanno sottovalutato l’acquaplaning.
Proprio questa insidia ha causato il primo episodio di paura e delirio in pista. Tra un Vettel a raccogliere margherite in ghiaia, un Zhou evitato per miracolo da Latifi e Sainz che pesca il jolly di una carriera evitando di essere travolto da tutte le vetture lanciate ad altissima velocità era inevitabile lo stop della corsa.
Da questo punto la federazione inizia ad entrare in un lento (nemmeno troppo a dire il vero) psicodramma.
Le decisioni che si susseguono sono confusionarie, pericolose e contraddittorie.
Abbiamo assistito ad una campagna di sensibilizzazione della sicurezza in pista martellante, con decisioni più volte mortificatrici dello sport stesso, per poi cadere, ancora una volta qua a Suzuka.
Quanto visto con le gru in pista ancor prima della bandiera rossa (da quanto si apprende dal dashboard di Vettel) è fuori di testa.
Gasly ha rischiato di ripetere quanto accadde nel 2014 al suo caro amico Jules Bianchi.
Non esiste incolpare il pilota in questo caso, le dinamiche sono estremamente diverse.
Qua stiamo parlando di un trattore in pieno tracciato con zero visibilità.
Ad aggravare il tutto c’è la recidiva, proprio sullo stesso circuito dell’infausto evento.
Le immagini, tra l’altro, nemmeno sono ufficiali in quanto probabilmente la FIA, rendendosi conto della gravità dell’accaduto e volendo evitare una shit-storm immediata, ha preferito sorvolare.
Tutto questo è grottesco e delirante.
Occorre anche mettere un focus sulla pausa eterna che mai giova ai piloti stessi.
Bandiera rossa, gara neutralizzata, tuttavia il cronometro dovrebbe “teoricamente” continuare a scorrere.
Ad oggi abbiamo imparato che non è così.
Se per Singapore il rispetto della durata televisiva dell’evento e della gara stessa è stato rispettato, qua, invece, è stato tutto molto creativo.
La situazione dell’assegnazione dei punti, poi, è la ciliegina sulla torta di una gara da paura e delirio.
Prima i punti sono dimezzati, poi no, poi ancora sì ed infine Max è campione perchè vengono assegnati punti pieni con soli ventotto giri percorsi.
Abbondantemente sotto il settantacinque percento di giri percorsi.
Questo mondiale Max lo merita, nulla da eccepire.
Red Bull ha lavorato in maniera straordinaria ed il pilota olandese ha esibito una maturità invidiabile: capace di non scoraggiarsi dopo un inizio campionato difficile e capace di domare i suoi punti deboli, dimostrandosi una vera e propria macchina da guerra.
Ultima postilla riguarda Leclerc, al momento fortissimo ma incompleto come pilota.
Velocissimo, fortissimo ma molto debole psicologicamente.
L’errore di Singapore, unito a questo di Suzuka mettono in luce alcune lacune sulla freddezza in situazioni di estrema pressione. Questi errori hanno, di fatto, chiuso matematicamente la contesa.
Leclerc deve crescere perché è da cinque anni che sentiamo della gran bella retorica sul predestinato tra carta stampata e in telecronaca eppure gli errori commessi dal monegasco son sempre gli stessi.
Capire quando spingere e quando alzare il piede sono la vera discriminante tra essere campioni ed essere eterni incompiuti.
La penalità di Suzuka è sacrosanta e meritata.