A cura di Claudio Boscolo.
Ogni edizione la stessa storia, si parte sempre con la certezza che il Gran Premio di Monaco sarà una “lenta” carovana di una ventina di vetture e poi ci ritroviamo puntualmente a guardare con trepidante attesa l’evento più glam della stagione della Formula 1.
Se da una parte è verissimo che questo circuito, per la massima categoria a ruote scoperte, sia al limite del quasi inadatto date le dimensioni delle vetture che impediscono qualsivoglia forma di sorpasso, è anche vero che i muretti così tremendamente vicini alle ruote dei protagonisti e la quantità di imprevisti oltre il suggestivo paesaggio ci portano sempre a guardarlo e, in fin dei conti, ad amarlo.
Questa edizione, particolarmente, ha regalato più emozioni a ruote ferme (letteralmente) che non tra le anguste strade del principato dove a spuntarla è un Max Verstappen in stato di grazia che si prende per la prima volta in carriera vittoria a Montecarlo e testa del mondiale seguito da una rediviva Ferrari con Carlos Sainz bravo e cinico ed uno stoico Lando Norris capace di guidare sulle tele negli ultimi giri e rintuzzare i continui attacchi di un Perez alla carica.
Come detto prima bene Ferrari in pista, decisamente meno bene in parco chiuso. Direi che lo sguardo di Charles, abbandonato a sé stesso sul rail, a fissarsi i piedi la dice lunga su come si sia sentito l’idolo di casa e come ci saremmo sentiti pure noi nella sua situazione.
Chiariamoci, l’errore di ieri da parte della squadra è oltre l’imperdonabile, ok l’occasione di partire dalla pole era ghiotta ma questo essere approssimativi fa a calci col panegirico di Binotto dopo l’alterco con Vanzini dopo la Spagna.
Come detto prima, si hanno avuto molte emozioni a ruote ferme, ne sa qualcosa nello specifico il finlandese della Mercedes a cui va il plauso per una bella qualifica e una bella condotta di gara fino al pit stop.
Tutto regolare fino a che l’anteriore destra non ne vuole sapere di uscire costringendo Bottas ad un misero bottino di frustrazione e rammarico.
Se parliamo di frustrazione è impossibile non pensare al premio “drama queen” di giornata: Sir Lewis Hamilton che, ancora una volta, ha dimostrato i suoi grandissimi limiti umani e comunicativi quando posto sotto grande pressione e in situazioni non favorevoli.
Tra litigate via radio, strategie non comprese e battibeccate guarnite da stilettate via stampa, il pluricampione inglese non ha dimostrato una grande capacità di accettare la sconfitta.
Se devo essere sincero non mi è piaciuto l’atteggiamento accusatorio e sfrontatamente altezzoso nei confronti di chi gli ha consegnato una vettura dominante nei suoi precedenti sette anni (e per larghi tratti questa stagione).
Non stiamo parlando di una situazione reiterata e costante che potrebbe dare giustificazione ad uno sfogo del genere quanto più un capriccio del bambino a cui è caduto il gelato proprio mentre si apprestava ad assaporarlo.
Badate bene, non si sta parlando solo dell’attacco alla squadra solo dopo la gara ma proprio di tutto l’atteggiamento durante il week end e, in particolare, dopo le qualifiche.
Con questo non siamo minimamente vicini a dire che il giocattolino si sia rotto bensì quello che mi rammarica è che in questi anni non ci sia stata una crescita personale in fasi critiche di gara (pre e post comprese) che fa a pugni con il Lewis Hamilton guru e saggio da social.
Blessed quando tutto va bene, è colpa della squadra quando qualche sassolino di sabbia entra nell’ingranaggio.
Menzione speciale però al grande redivivo di questo gran premio: Sebastian Vettel.
Bellissimo rivederlo lottare per posizioni importanti in top five, bellissimo vederlo portare a casa un sorpasso di gran cattiveria ai danni di Gasly nella delicatissima fase di uscita dal pit per poi tenere un passo gara eccezionale per il mezzo a sua disposizione.
Lo sappiamo bene, Monaco fa storia a sé, tuttavia è uno dei pochi circuiti dove il talento individuale del pilota spesso fa da discriminante e ritrovare Seb non fa bene solo ad Aston Martin, ma a tutta la Formula 1.
Monaco resta un gran premio ricco di opposti logici, dove chi è il più forte durante la stagione spesso non vince, il tracciato con la curva più lenta e quella più veloce del mondiale stesso, la noia di una gara poco spettacolare che fa a pugni con l’adrenalina dell’imprevisto e dell’azione spettacolare. Odi et Amo, appunto.