A cura di Claudio Boscolo.
Facciamo un piccolo passo indietro: ad occhio e croce siamo alle porte della sessione invernale, Nico Rosberg è appena salito sul tetto del mondo in Formula 1 e nelle ultime file di una non determinata aula di Giurisprudenza due ragazzi sfogliano annoiati la Gazzetta dello Sport per evitare di soccombere alla noia di una lezione infinita.
Sembra l’ennesima banale giornata quando il buon Davide salta su dal nulla e mi fa: “oh c’è un mio amico che ha aperto un blog generalista e gli serve gente che scriva che di motori e di Formula 1 che fai? Salti dentro?”.
Da quel momento ne è passata di acqua sotto i ponti, sono cambiate tante cose e soprattutto si è passati ad essere parte integrante di ItalianWheels.net e accade che uno dei due si trovi a varcare il cartellone “Benvenuti” della tappa monzese del WEC, la massima definizione dell’endurance mondiale.
Dopo tutto l’immenso iter burocratico, tamponi e tutte le precauzioni che il covid impone, finalmente il venerdì posso calcare la soglia del paddock.
Come sempre mi concedo qualche istante di stupore e poi sotto a lavorare.
Passato l’arco con tutte le infografiche a schermata sui piloti e sui team in gara vengo accolto da un duetto di profumi provenienti dalle varie hospitality.
È impossibile non farsi abbagliare dai colori sgargianti dei camion e dei vari motorhome, dalle bandiere mosse dal vento con i brand che tutti desideriamo possedere.
Dopo una decina di secondi per godermi effettivamente dove fossi e cosa stessi facendo mi dirigo verso il box 46 dove trovo i ragazzi di Cetilar Racing che mi hanno dato la possibilità di essere dei loro per questo week end così importante.
Sfrutto l’occasione della track walk dei piloti per fare un giro nella pit lane e curiosare da vicino alcune delle vetture in gara tra cui Glickenhaus che porta ben due Hypercar a questo giro.
Impossibile non rimanere affascinato dall’elegante danza delle svariate prove di pit stop in corso.
Proseguendo nella camminata mi imbatto nel susseguirsi di LMP2, GTE sia Pro che Am e infine l’Hypercar di Alpine (si, praticamente la Rebellion dello scorso anno ribrandizzata).
Via in una direzione e poi marcia indietro fino al box Toyota con le due splendide GR010 ancora dormienti.
L’ora di pranzo è alle porte e mi dirigo nell’hospitality di AF Corse per buttare qualcosa sotto ai denti.
La pausa non dura eccessivamente e colgo l’occasione per correre a fare interviste e tra le mie grinfie capitano nuove e vecchie conoscenze: Sebastien Buemi e una cara conoscenza di IW Gimmi Bruni.
(Entrambe le potete tranquillamente ripescare sulla nostra pagina Facebook ed Instagram).
Nel pomeriggio la parola passa ai motori con la prima sessioni di prove libere e l’attività diventa estremamente frenetica, imparare dove sostare negli strettissimi box è un fattore chiave per non prendersi 30 kg di pneumatico bollente sulle gengive e soprattutto non intralciare il lavoro dei meccanici.
Il problema tecnico di Roberto Lacorte mette la 47 KO nelle prime battute delle libere e tocca sgomberare il campo per permettere ai ragazzi di AF Corse di riparare la vettura.
Il resto del pomeriggio lo passo per lo più a vagare nel paddock e godermi le libere dal Media Center.
Il sabato invece trascorre nella frenetica attesa delle qualifiche del tardo pomeriggio ma prima ci son ben due turni di prove libere da affrontare.
Vedere dall’alto del Media Cente la routine della pitlane e i suoni dei motori lanciati a tutta sul rettifilo principale è qualcosa di catartico.
Ovviamente a condire il tutto la bellezza dei lampi colorati delle livree che sfrecciano verso la staccata.
Il motorsport non è un gioco per bambini troppo cresciuti, è appagamento dei sensi.
Il sorriso spontaneo al ruggire di un motore, la bellezza di una livrea in movimento, il profumo di gomma e benzina che permeano e diventano parte integrante dell’esperienza.
In mezzo a queste riflessioni, nell’andirivieni di persone in sala stampa è ora di scendere a fare i complimenti a Roberto Lacorte per la grandissima seconda posizione in qualifica.
Ed è così che dopo la qualifica anche dei prototipi si arriva ad una calma quasi irreale, un’atmosfera di quiete prima della tempesta in arrivo alle 12 del giorno dopo e che durerà ben 6 ore.
Non è solo la gara ad incombere di domenica ma anche il pubblico che, ad essere sinceri, si presenta in un numero ben inferiore rispetto a quanto mi aspettassi.
Certo fa sicuramente piacere rivedere striscioni, bandiere e l’entusiasmo di noi appassionati ma comunque siamo ben lontani dalle aspettative.
Il focus dei piloti, meccanici e di tutto l’ambiente è tangibile già solo mettendo un piede nel paddock.
Motori in fase di riscaldamento, prove di cambio pilota, pubblico che saluta i propri idoli dalle gradinate: è questa la routine della mattina di gara.
Alle 12 meno qualcosa le vetture vanno a schierarsi per uno dei momenti più solenni: la cerimonia dello start preceduta dall’inno nazionale.
Vedere le facce di piloti al via in una maschera di concentrazione, speranza, ansia e preoccupazione. Chi la tensione la dissimula tra qualche risata, chi si rilassa e chi invece si chiude nel silenzio.
Giù la visiera, lancia in resta e che la giostra abbia inizio.
Ai box c’è chi esulta per sorpassi, chi maledice divinità variopinte per un sorpasso subito e il tifone sonoro di 36 vetture che urlano e scalpitano.
“Time is relevant to where you are” citando qualcuno che di tempo e di relatività se ne intendeva parecchio.
Ore che diventano minuti, secondi che diventano macigni quando sono da recuperare e leggerissimi da perdere.
Valzer di gomme e di benzina, di uomini che gareggiano contro il tempo ma non macchina bensì con una pistola per il cambio gomme.
Pochi istanti, cambio di calzature e via.
Bandiere gialle mentre il box viene invaso dalle troupes televisive e tocca astro-levarsi di torno prima di essere investiti da 30 kg di gomme riscaldate.
Click, Clack e via cambio pilota, cambio gomme e cambio posteriore.
Arte circense applicata alla fisica o forse viceversa ma più passa il week end, più è difficile non ammirare la forza di volontà e l’abnegazione degli eroi silenziosi di ogni gara.
Come detto prima 6 ore possono sembrare eterne quando ci si gioca posizioni importanti ma nella foga di una rimonta sembrano una semplice manciata di secondi, certo per noi che guardiamo il monitor dei tempi.
Bandiera a scacchi e la pit-lane che diventa uno splendido corridoio per i vincitori e via che si vola sotto al podio a prendersi la doccia di champagne e godersi un momento da “once in a lifetime”.
Tra una pacca amichevole a Montoya, un “bro fist” a Cameron Glickenhaus si chiude pure la cerimonia.
Tempo di saluti e di ringraziamenti, “Ehi si ciao, ci vediamo alla prossima” -sicuro! ma prima fatemi metabolizzare.
Giù il sipario, dai motori delle vetture a quello dei camion che cominciano a scaldarsi per togliere le tende.
Salgo in sala stampa a raccattare i miei quattro averi e via di quasi frontale in corridoio con l’armata Toyota zeppa di trofei e bottiglie, qualche complimento bofonchiato in inglese e via.
Mentre imbocco la via dell’uscita vuoi non fermarti a fare un’intervista lampo a Sophia Floersch?
Tutto perfetto, tutto fantastico ma tra muletti, trattorini, caddy e Nicky De Vries che interrompe il tutto per flexare i trofei si passa da intervista a quasi documentario.
Saluto, pugnetto di circostanza e a questo punto è finita davvero.
Ho superato le milleduecento parole e ancora ne avrei da scrivere.
Dal bambino che giocava con la cartuccia della 24 Ore di Le Mans sul Game Boy Color e che solcava le Porsche Curve a bordo della “pixellosissima” Panoz Esperante, alla tappa italiana del Mondiale Endurance.
Nel dubbio ringrazio per la volta numero 747 tutti i ragazzi e i piloti di Cetilar Racing e AF Corse per avermi dato la chance di essere dei loro senza i quali probabilmente non avrei vissuto uno dei week end di gara più intensi, appaganti e goderecci della mia “carriera”.
Grazie.