A cura di Umberto Moioli.
Il Mugello… il Mugello è tante cose: è quello del “non si dorme”, è il Mugello del giallo fluo di Rossi, è il Mugello delle bibliche invasioni di pista, così come è il Mugello dei vergognisi fischi del tifo di stampo calcistico a danno di quei vincitori per i quali veniva issata la bandiera iberica e di altri vergognosi comportamenti. Ma questa domenica è stato un nuovo Mugello, un Mugello di emozioni, di tricolore e, soprattutto, un Mugello di rivincite.
Perché sul bellissimo tracciato toscano, teatro quest’oggi di tre gare al cardioparlma, ricche di sorpassi, di bagarre e di risultati impensati ed insperati, è andata in scena una domenica da antologia per le pagine dello Sport in quanto tale. Certo, sentir risuonare in terra italiana, per ben tre volte, il nostro Inno di Mameli è roba da pelle d’oca, capace di farci unire l’un con l’altro facendoci dimenticare per quel tanto che basta tutti i problemi del mondo e le discordie personali. Ma quell’emozione così pura che abbiamo vissuto dallo start della Moto3 al podio della MotoGP è ben poca cosa paragonata alla soddisfazione che ho provato nel vedere QUEI tre piloti, Andrea Dovizioso, Mattia Pasini e Andrea Migno, trionfare e soprattutto farlo in un circuito così speciale.
Perché se c’è un aspetto che davvero è senza prezzo nello sport è il vedere come e quando l’impegno, il duro lavoro senza scuse e il tanto cuore che viene messo nella competizione riesce a superare il puro talento naturale, portando i “secondi”, i discreditati, i “perdenti” a prendersi la propria rivincita. Senza se e senza ma. E così è stato al Mugello, dove in Moto3, dopo tre anni senza mai vedere il gradino più alto del podio, Andrea Migno, il così detto “pilota mascotte”, si è reso protagonista di una gara eccellente, riuscendo addirittura nella magia di uscire dalla Bucine in prima posizione e di passare sotto la bandiera a scacchi per primo pur avendo avuto Fabio Di Giannantonio in piena scia! Cose che nessuno pensava potessero succedere. In Moto2, invece, abbiamo vissuto la favola di Mattia Pasini, il pilota cosìdetto “con un braccio solo”, che nonostante il suo problema fisico all’arto superiore ha deciso di non mollare mai, sviluppando una tecnica di guida che lo porta ad avere la leva del freno e della frizione sullo stesso semimanubrio di sinistra, perché il suo avambraccio destro non ha forza sufficiente per fermare la moto, e pur collezionando cadute a ripetizioni, commenti negativi e poca fiducia da parte di tanti, anche e soprattutto da parte di addetti ai lavori, oggi si è come trasformato, ritrovando la vittoria dopo aver sconfitto in battaglia Thomas Luthi ed Alex Marquez, addirittura iniziando l’ultimo passaggio alle spalle di entrambi i rivali. Un ragazzo che di schiaffi dalla vita e dalla pista ne ha collezionati e che nonostante tutto non desiderava altro che di ritrovare la vittoria per poterla finalmente dedicare, a distanza di anni, al compianto amico Marco Simoncelli. Per non parlare poi del buon Andrea Dovizioso, il pilota “senza la stoffa del campione”, il “corretto”, il “collaudatore”, un eterno secondo che si è visto subire una riduzione d’ingaggio dal team di Borgo Panigale, perché lo stesso doveva garantire al neo-acquisto Jorge Lorenzo uno stipendio ben 12 volte più elevato di quanto è stato offerto al forlivese. Con una discriminante: fino ad oggi, la seconda guida Andrea Dovizioso, pur con il suo ridottissimo ingaggio, non passa domenica dove non si scordi di lasciarsi il proprio compagno di squadra alle spalle, sottolineando – oggi ancor più – che quanto garantitogli da Ducati non corrisponde minimamente al proprio valore. Ed infine, lasciatemi dire che ancor più bello delle rivincite personali dei nostri tre, encomiabili connazionali, sono state le autentiche lacrime di gioia di questi piloti: lacrime incontenibili, sincere, quelle lacrime che valgono tutto l’impegno, la fatica ed i sacrifici che vengono fatti per raggiungere quei risultati. Lacrime di chi non molla mai nonostante i momenti difficili, nonostante le malelingue delle persone, nonostante le pressioni di un meccanismo chiamato “business” che non conosce umanità ma solo la legge del risultato e del denaro contante. Lacrime di riconoscenza per chi invece non ha smesso di credere in loro, nonostante tutto, aiutando questi ragazzi a credere di più in loro stessi, accompagnandoli in un percorso di crescita che, magari, ha richiesto tempi più lunghi di altri ragazzi. Lacrime di chi ha raccolto molto meno, per un motivo o per l’altro, di quanto invece avrebbe meritato di ricevere. Lacrime che ci ricordano perché guardiamo lo sport e perché ci emozioniamo per loro e con loro. Lacrime che danno tutt’altro valore a quei risultati che diventano invece quasi banali e scontati nelle “mani” di chi, per un fortuito bacio della dea bendata o per migliori condizioni tecniche, ha fatto e fa dello straordinario quasi una formalità o comunque una normalità.
Che dire… Grazie Dovi, grazie Paso, grazie Migno: oggi non avete solo fatto grande il nostro Paese, ma ci avete regalato una grande lezione di vita.