Se avete seguito il mondo delle corse a metà degli anni 2010, sicuramente vi ricorderete della DeltaWing.
Creata dal progettista Ben Bowlby, a primo acchito poteva sembrava un fenomeno da baraccone se non si conosceva la sua storia, o un colpo di genio se si dava retta a Bowlby.
Bowlby iniziò a lavorare sulla DeltaWing nel 2008, mentre era responsabile per la progettazione per Chip Ganassi Racing. Il buon Chip rimase sufficientemente impressionato dall’idea e nel 2010 venne presentato un concept al Chicago Auto Show.
All’epoca, la IndyCar era alla ricerca di un nuovo telaio e la DeltaWing venne selezionata come una delle possibili scelte. La proposta si basava essenzialmente sui seguenti punti cardine: metà del peso, metà del carburante, metà della potenza, metà della resistenza aerodinamica, tutta la velocità.
Half the weight, half the fuel, half the power, half the drag, all the speed.
(In inglese suona decisamente meglio).
Ovviamente a quelli della Indycar l’idea fece ridere e fu completamente scartata in favore della Dallara DW12. Tuttavia, l’auto di Bowlby suscitò l’interesse del fondatore dell’American Le Mans Series, Don Panoz, che vide un’auto da corsa innovativa e un’opportunità commerciale unica. Don fece organizzare un incontro con l’ACO, l’organo responsabile della predisposizione dei regolamenti tecnici della 24 Ore di Le Mans, dove Bowlby presentò l’auto.
“Questo sì che rappresenta lo spirito di Le Mans! Dovete candidarvi per il Garage 56!” disse il presidente dell’ACO Jean-Claude Plassard. L’iscrizione al Garage 56 era un tentativo dell’ACO di portare in gara un’auto sperimentale.
Così, improvvisamente, ci fu uno scatto nella direzione giusta per trasformare la DeltaWing in una vera e propria auto da corsa.
Ebbe così inizio una delle avventure più improbabili e straordinarie che abbiamo mai visto a Le Mans.
La DeltaWing sarebbe stata l’auto da corsa più originale e diversa a correre le 24h più importante del mondo dopo la Chaparral 2F di Jim Hall del 1967.
In un mondo in cui la progettazione di auto da corsa era definita dalla convenzionalità, Bowlby era in procinto di dare vita a una rivoluzione che avrebbe potuto capovolgere tutto ciò che sapevamo, correndo il più grande azzardo progettuale del nostro secolo.
Ma per prima cosa occorreva costruirla. Ganassi disse di essere troppo impegnato, così Bowlby si rivolse a Dan Gurney e alla sua All American Racers. La AAR aveva ormai abbandonato il settore delle auto da corsa da anni, essendo impegnata nella produzione di materiali compositi, ma la DeltaWing era così bella che i Gurney non riuscirono a resistere. “Costruire un’auto totalmente fuori dagli schemi è stato sicuramente ciò che ci ha attirato di più“, raccontò Gurney.
L’officina di Santa Ana assunse nuovamente il personale che aveva lavorato alle auto da corsa di successo della AAR, le Eagle, e Bowlby portò con sé i vecchi colleghi di Lola e Ganassi.
Phil Remington, 91 anni, il cui genio aiutò Ford e Shelby American a vincere Le Mans per quattro anni consecutivi negli anni Sessanta, si occupò della realizzazione dell’auto. Fu il suo ultimo lavoro nel mondo delle corse.
Nonostante il nome, la DeltaWing non utilizzava le ali per generare deportanza: il lavoro era svolto dal fondo. Ma esso non si rivelò del tutto efficace, finché il più anziano dei Gurney non si rese conto che la DeltaWing aveva una forma molto simile a quella dell’innovativa vettura Indy Eagle del 1981.
Così copiarono il design del fondo e i generatori di vortici della Eagle e improvvisamente la DeltaWing cominciò a funzionare come previsto nella galleria del vento.
AAR iniziò la costruzione dell’auto da corsa nel settembre del 2011, per poi scendere in pista meno di sei mesi dopo. In quel test del 29 febbraio a Buttonwillow, nessuno, tranne Bowlby, sapeva come si sarebbe comportata la vettura.
La folle idea di Bowlby funzionò.
Poco dopo il test, Nissan firmò ufficialmente sia come sponsor che come fornitore di motori.
In realtà si rivolse alla Ray Mallock LTD. che fornì un quattro cilindri turbo da 1,6 litri.
Un motore in gran parte simile a quello montato sulle auto turismo della Chevrolet.
Anche le specifiche tecniche non erano da sottovalutare.
300 CV in un pacchetto che pesava poco più di 1.000 kg, con pneumatici anteriori grandi come quelli di una Citroën 2CV.
È difficile sottolineare quanto fosse diversa la DeltaWing, tutt’oggi non esiste granché nella storia dell’automobilismo a cui la si possa paragonare.
Quando nel giugno del 2012 la squadra si presentò per la prima volta al Circuit de la Sarthe in Francia, i media e i fan rimasero a bocca aperta. La DeltaWing assomigliava più a un’astronave che a un’auto da corsa.
Nelle prove e in qualifica l’auto mostrò a tratti di poter tenere lo stesso ritmo delle migliori auto della classe LMP2, ma consumando circa la metà del carburante. Ma in gara, dopo sei ore, fu messa a muro dalla Toyota LMP1 guidata da Kazuki Nakajima.
Marino Franchitti, uno dei tre piloti dell’equipaggio, non ebbe nemmeno il tempo di guidarla, anche se, a suo dire, l’auto difficilmente avrebbe raggiunto la bandiera a scacchi.
Dopo la 24h la DeltaWing venne presa in gestione da Don Panoz che la fece correre nella ALMS (poi diventata l’attuale IMSA) fino al 2016.
Da lì in po, poi con il cambio dei regolamenti alla vettura, non fu più permesso di partecipare.
La carriera oltre oceano della piccola auto a freccia sarà travagliata e ricca di ritiri per problemi tecnici e di affidabilità.
Gli unici alti saranno il podio nel 2013 a Road Atlanta e i 29 giri al comando durante la 24h di Daytona del 2016.
Per quanto riguarda il suo inventore originale, Ben Bowlby, si può dire che dopo la Le Mans del 2012 rimase con la Nissan.
Prima a lavorare sulla ZEOD (di fatto una versione elettrica della DeltaWing) e poi sullo sfortunato progetto che prende il nome di Nissan GT-R LM Nismo.
Da allora Bowlby ha tenuto un profilo basso e non ha più lavorato a progetti importanti.
L’amara ironia che aleggia sulla storia della DeltaWing è che non è stato il design atipico a essere problematico, ma la macchina fu di fatto affossata da cose del tutto normali per un’auto da corsa come i problemi di affidabilità, e anche il fatto che molte serie non le permisero di competere.
Dan Panoz, il figlio di Don, possiede ancora alcuni telai della DeltaWing nella speranza che ci sia un futuro per la vettura. Fino ad allora, una delle auto da corsa più innovative, promettenti ed emozionanti del secolo rimarrà dormiente, in attesa che qualcuno sia disposto a darle una nuova possibilità.