A cura di Claudio Boscolo.
Che strana la vita, pensi che ad un certo punto il tuo culmine come pilota sia giunto al termine con qualche comparsata in Formula 3 e qualche gara di turismo.
Però l’amore per le gare è qualcosa di oltre, è quella cosa che ti spinge a cercare fondi, scocche di seconda mano per provare ad entrare nell’olimpo e con chi se non con un tuo grande amico?
Inizia così, un po’ come nelle favole, l’avventura della Frank Williams Racing Cars con il fido Piers Courage alla guida.
L’inizio di questa avventura è stellare, podi e arrivi a punti.
Con un inizio così sembra tutto facile.
Poi arriva il 1970, una vettura che è inaffidabile e la maledetta Zandvoort che si porta via Piers in un turbinio di terra e fiamme.
Da questo momento Frank cambia il suo rapporto con i piloti.
Seguono anni difficili, di fallimenti e delusioni, di finanze terribilmente complicate e per risanare le tasche tocca dare in mano le vetture a pay drivers su pay drivers ed il tunnel sembra senza fine.
Poi arriva Walter Wolf che mette i soldi necessari e relega Williams e Patrick Head (la metà motoristica di Frank) nell’ombra.
Non poteva finire così, non è nello stile di Frank mollare e quindi sia lui che Head decidono di rimettersi istantaneamente in gioco, nasce così la Williams Grand Prix Engineering.
Quello che non sanno è che stanno per entrare nella storia.
Il nuovo inizio è nuovamente tormentato da rotture e fallimenti poi arrivano gli sceicchi e la Williams torna a volare e mettere punti su punti. Con il genio di Head al progetto e il carattere di ferro di Frank le cose vanno finalmente bene.
Piloti forti, finanze solide e successi su successi.
La creatura di Frank Williams è finalmente in piedi a lottare; tutto cambia quando la strada dal Paul Ricard all’aeroporto di Nizza non perdona un’uscita di strada del team owner.
La vettura si ribalta e resta schiacciata sul tetto non lasciando scampo alla colonna vertebrale del team owner inglese: paralisi dalla quarta vertebra in giù.
Un fato crudele e ingiusto, proprio mentre la Williams era una realtà e aveva, più che mai, bisogno del suo timoniere.
“Frangar non Flectar”, “mi spezzo ma non mi piego” e Frank Williams fa del mantra dello stoicismo un vero e proprio esempio pratico per tutti noi.
Già dalla stagione seguente è di nuovo alla direzione del team e il canovaccio non cambia. Williams non è solo una scuderia, è una sentenza. E’ creata ad immagine e somiglianza del proprio fondatore, ci sono annate dove si soffre, terribilmente, dove l’impronosticabile è dietro l’angolo, come nel 1994 dove proprio il team di Groove è il co-protagonista dell’evento che ha cambiato la F1 moderna.
Per Frank non è un momento semplice, l’accusa di omicidio colposo è un’onta che è difficile da lavarsi via. L’opinione pubblica, poi, non perdona.
Frank Williams ne esce pulito perché l’accusa cade ma le malelingue continuano a sibilare ovunque.
E proprio nel pieno spirito del suo fondatore la scuderia si rialza e ritorna a imporre la sua presenza al vertice.
Gli anni 2000 però sono diversi, Ferrari si riprende il trono ma Williams è sempre lì con piloti diversi, protagonisti diversi ma è sempre lì a non mollare. Proprio come Frank da prova ogni singolo giorno.
La carrozzina nei box del team inglese è una presenza fino a pochi anni fa quando Sir Frank Williams decide che ha fatto il suo tempo e lascia il proprio trono alla figlia Claire fino al 2020.
L’eredità del capostipite del team di Groove è qualcosa di unico, la dimostrazione di quanto la forza di volontà sia la componente chiave del successo. Dove un semplice garagista partito quasi dal nulla si sia messo in mezzo alla potenza delle case più rinomate al mondo, dominandole e castigandole.
Sir Frank Williams ha dato un’impronta unica alla Formula 1 e Dio solo sa quanto ci mancheranno delle figure come la sua.