C’è un’aria cupa a Wolfsburg e gli occhi del mondo dell’automotive sono tutti puntati sulla crisi Volkswagen: a rischio due stabilimenti nella Bassa Sassonia.
Avevamo parlato della crisi del settore automotive tedesco già il mese scorso, quando nel giro di una settimana circa sia Recaro che BBS Germania avevano dichiarato fallimento.
Adesso, da qualche giorno a questa parte, non si parla d’altro: Volkswagen si è data 2 anni di tempo per “salvarsi”.
Ma salvarsi da cosa, esattamente?
Da una crisi senza precedenti per il marchio tedesco, che rischia di andare in perdita sulle auto vendute.
Innanzitutto, per il numero di vendite.
Volkswagen non riesce a vendere più di 500.000 unità all’anno, tra tutti i modelli, e questo significa utilizzare gli stabilimenti molto al di sotto delle loro effettive capacità.
Anche in Cina, mercato importantissimo per Wolfsburg, Volkswagen sta calando, nonostante i numeri di vendita delle auto elettriche siano in crescita.
Questo grazie anche ad un forte recupero da parte dei costruttori cinesi, sostenuti in maniera importante dal Partito Comunista.
Ma la colpa è veramente della transizione elettrica? Non del tutto, ma gioca un ruolo importante.
Innanzitutto perché, e lo abbiamo visto a giugno anche in Italia, il mercato dell’elettrico in Europa è molto legato agli incentivi statali.
Sono infatti diminuite considerevolmente, anche in Germania, le vendite della gamma ID dopo la chiusura degli incentivi statali, che giocano un ruolo fondamentale nella stabilizzazione del mercato EV.
Inoltre, ammettiamolo: la gamma ID non spicca per la bellezza, quindi in un mercato già difficile, le Volkswagen arrancano.
Ciò nonostante, Volkswagen ha dichiarato di avere bisogno di ridurre i costi nel tentativo di razionalizzare le spese per sostenere la transizione verso l’elettrico.
Ne consegue quindi un importante riduzione della produzione e di conseguenza del personale.
La casa di Wolfsburg vorrebbe addirittura chiudere due stabilimenti, uno di produzione di componenti ed un altro che invece produce auto.
Il tutto nello stato della Bassa Sassonia, secondo maggior azionista di Volkswagen, che ha appoggiato la scelta.
Chi invece di questa scelta non è affatto felice è Daniela Cavallo, direttrice del Consiglio di Fabbrica.
La sindacalista, tesserata IG Metall, ha infatti preso le difese dei dipendenti di entrambe le fabbriche e di tutti i 300.000 operai a cui Volkswagen dà lavoro in Germania, accusando la dirigenza di aver preso «molte decisioni sbagliate» negli ultimi anni.
L’A.D. Oliver Blume ha invece parlato di una drastica riduzione della competitività della Germania come sede di produzione, lanciando una frecciata politica al cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Se la causa di tutto ciò sia l’avvento di marchi cinesi nell’automotive europeo o il fallimento della transizione elettrica, non possiamo saperlo con certezza.
Ciò che è certo, però, è che se anche un colosso come Volkswagen trema così, la situazione è davvero tragica.