A cura di Davide Achille e Claudio Boscolo.
Se pensate che il binomio Giappone-qualità sia sempre esistito dalla Notte dei Tempi, beh vi sbagliate: certamente i nipponici sono dei meravigliosi progettisti che hanno sfornato opere ingegneristiche di tutto rispetto in qualsiasi ambito anche non motoristico, ma come ben sappiamo le mele marce esistono anche nei migliori frutteti e nemmeno la Terra del Sol Levante è esente da questa triste verità. In questo articolo vogliamo raccontarvi la rocambolesca storia della Maki Engineering, una scuderia molto particolare che non ha mai preso parte ad un gran premio iridato e la cui storia può tranquillamente competere con quella della tanto amata Andrea Moda Formula.
Abbiamo descritto poc’anzi questa scuderia come “molto particolare” per un semplice motivo: non solo è stata una delle squadre più temute dagli altri piloti in pista, ma lo era anche dei poveri conducenti delle stesse monoposto giapponesi che le accusavano di essere un po’ troppo difficili da guidare e soprattutto fragili con inevitabile messa in pericolo della loro incolumità.
La storia della Maki inizia nel lontanissimo 1974 quando il ventisettenne Kenji Mimura decise di riportare un team nipponico in Formula 1 dopo il ritiro della Honda alla fine degli anni ’60. La prima monoposto della neonata scuderia giapponese presentava una livrea color bianco con pochissimi sponsor e venne battezzata F101. La poca bontà di questo progetto si ravvisò immediatamente in occasione di un test sul Circuito di Goodwood palesando fin da subito i propri limiti aerodinamici e telaistici: il peso superava di oltre 200 kg il minimo consentito dal regolamento e l’assenza di sufficienti prese d’aria sulla carrozzeria rendeva inefficiente il sistema di raffreddamento esponendo il motore a un pericoloso surriscaldamento.
Nel corso del precampionato vennero apportate alcune modifiche importanti per porre rimedio ad alcune delle lacune del progetto iniziale e ciò comportò una significativa riduzione del peso ed una migliore distribuzione di esso portando così il team giapponese a rinominare la propria vettura F101B. Tuttavia ciò non impedì al pilota della Maki, il neozelandese Howden Ganley, di faticare notevolmente per trovare un buon bilanciamento della vettura e la conseguenza di ciò fu un rifiuto da parte dello stesso Ganley di prendere parte al Gran Premio di Svezia per evitare possibili incidenti.
L’esordio della Maki avvenne quindi sul circuito di Brands Hatch, tuttavia i nostri antieroi non riuscirono a qualificarsi per la gara giungendo al trentaduesimo posto nelle prequalifiche. Nell’appuntamento successivo in Germania le paure iniziali di Ganley presero forma: durante le prequalifiche una sospensione della monoposto cedette all’improvviso mandando la macchina a sbattere violentemente contro le barriere, per poi rimbalzare dalla parte opposta della pista. Il pilota neozelandese riportò gravi fratture ad entrambe le gambe che non gli consentirono di proseguire la sua carriera in Formula 1. In virtù della gravità di tale incidente la Maki decise di non prendere più parte ad un’altra gara della stagione in corso decidendo di concentrarsi sullo sviluppo della monoposto in vista del 1975.
Anno nuovo, competitività nuova? A vedere l’albo d’oro si direbbe di sì, con la Maki capace di strappare una qualifica al suo primo gran premio della nuova stagione, se solo non si guardasse la tabella dei tempi. Ebbene la scuderia del Sol Levante si qualificò solo e soltanto in quanto tutte e 25 le vetture furono ammesse alla gara (il tempo sul giro del nuovo pilota Hiroshi Fushida risultò più lento di ben 13 secondi rispetto alla pole di Lauda). L’occasione per la Maki è ghiotta ed in gara, si sa, può accadere di tutto e quindi anche sfangare un risultato di rilievo. Ci avete sperato vero? Nessun risultato di rilievo fu segnato nella gara di Zandvoort dalla Maki in quanto il motore Ford cedette prima che la monoposto riuscisse a schierarsi sulla griglia di partenza. La Maki ritentò la qualifica in altre quattro occasioni, addirittura sostituendo il proprio pilota con Tony Trimmer, fallendo miseramente. La stagione 1975 si conclude mestamente con zero giri in gara, fatta eccezione per il Gran Premio di Svizzera (non valido per il mondiale) dove la Maki riuscì a qualificarsi e addirittura a concludere la gara a due ere geologiche dal vincitore Clay Regazzoni.
Se nel 1975 la Maki riuscì a “migliorare” le proprie prestazioni durante la stagione successiva non fu per nulla così: solo un tentativo di qualifica nel Gran Premio del Giappone con Trimmer disperso ad oltre 18 secondi dalla pole position. Questa sventura nel gran premio di casa del 1976 rappresenta il canto del cigno della Maki Engineering, scuderia capace di collezionare solo fallimenti e disastri prestazionali che, tuttavia, fa battere il cuore ed emoziona proprio per la volontà e la passione nel provare a portare il Sol Levante sul tetto del mondo della Formula 1 partendo dal nulla.