Trasportare sul grande schermo un videogioco, insieme alle sensazioni che esso provoca nei confronti di chi ne usufruisce, non è mai un lavoro semplice.
Ci sono tanti esempi nella storia del cinema che rendono bene l’idea: pensiamo alla saga di Resident Evil, il celeberrimo titolo della Capcom che sul grande schermo non ha riscosso lo stesso successo rispetto alle console; The Last of Us, la serie televisiva tratta dall’omonimo videogame, rappresenta, invece, un esempio su come si porta un videogioco in televisione.
Per quanto riguarda Gran Turismo, questo si colloca esattamente nel mezzo.
Piccola premessa prima di iniziare: sono cresciuto giocando a Gran Turismo e morirò giocando a Gran Turismo, che rappresenta, come si può tranquillamente evincere da quest’ultime parole, la mia saga videoludica preferita. Tuttavia, cercherò con tutto me stesso di recensire questo film nella maniera più oggettiva possibile, tralasciando il sentimento d’amore sconfinato che ho verso questo titolo. Inoltre, si tratta della mia prima recensione, quindi non mangiatemi vivo, grazie. Pronti? 3… 2… 1… Partenza!
Il film segue la vera storia di Jann Mardenborough (Archie Madekwe), dalle sue origini fino al suo debutto nel mondo del motorsport professionistico, alternando momenti di vita quotidiana, che narrano la crescita personale del giovane, alle emozionanti gare che lo conducono persino alla celebre 24 Ore di Le Mans.
Se dovessi dividere il film, lo taglierei in due fasi: la prima, quella che mi è piaciuta di meno, tratta l’aspetto videoludico del film; la seconda, quella meglio riuscita, narra l’esperienza in pista del pilota, che riesce finalmente a realizzare il suo desiderio vitalizio.
In sostanza, la trama si concentra intorno alla realizzazione di un sogno e la sceneggiatura ruota attorno a due concetti chiave, i quali rappresentano ciò che il film vuole trasmettere: la convinzione che ogni sogno, se inseguito con determinazione, può diventare realtà, e la prospettiva più attuale che considera i videogiochi non solo come forma d’intrattenimento, ma anche come un mezzo per realizzare se stessi nella vita reale.
Jann incarna perfettamente entrambi questi concetti, essendo un abile videogiocatore deciso a trasformare la sua passione per le corse automobilistiche in una professione, nonostante tutte le difficoltà del caso.
La prima fase del film, come accennato poc’anzi, ruota attorno al videogioco e alla passione che il giovane protagonista nutre per esso. Personalmente, avrei preferito un approccio differente del regista, poiché il tutto risulta essere troppo frettoloso nella narrazione e non si sofferma sulla nascita e sull’evoluzione di questa sconfinata passione che Jann riserva per Gran Turismo.
Insomma, parliamo di un film che ruota attorno al titolo della Polyphony Digital, qualche attenzione più profonda al significato che Gran Turismo rappresenta nel cuore di milioni di appassionati l’avrei preferita: ad esempio, dedicando qualche scena a dei flashback del protagonista da bambino intanto che giocava ai vecchi titoli della saga, rimanendo estasiato dal mondo delle corse automobilistiche, dalle auto e dai circuiti contenuti nel gioco.
In sostanza, avrei preferito un focus su quello che, a mio parere, differenzia Gran Turismo da tutti gli altri videogiochi di corse, ovvero la passione e la cura che Kazunori Yamauchi, il fondatore, ha laboriosamente inserito in tutti i titoli della saga. Tale mancanza, a mio parere, non aiuta a caratterizzare bene il protagonista, il quale fatica a far emergere appieno la propria personalità sembrando, di conseguenza, un semplice videogiocatore, con le sue virtù e i suoi difetti.
Sebbene il film cerchi di rappresentare la normalità di Jann per farlo sembrare accessibile a tutti i giovani spettatori, questo rischia di rendere il personaggio piatto e anonimo, impedendo all’appassionato di immedesimarsi in esso. Nonostante ciò, ho apprezzato tantissimo l’inserimento nel film dei suoni presenti nel videogioco e l’utilizzo dell’HUD di Gran Turismo in alcune scene di vita quotidiana.
Tornando alla trama, l’opportunità del protagonista di realizzare il suo sogno arriva attraverso il progetto ambizioso di Danny Moore (Orlando Bloom), un impiegato del settore marketing della Nissan che mira a creare un’accademia per addestrare i migliori giocatori di Gran Turismo a diventare dei veri piloti professionisti. Lo stesso problema della caratterizzazione del protagonista vale anche per gli altri personaggi presenti nel film, i quali vengono analizzati superficialmente e mancano di una storia di sfondo che possa conferire a loro profondità.
In particolare, Patrice Capa (Thomas Kretschmann), che dovrebbe essere l’antagonista principale, viene in maniera troppo semplicistica dipinto come un pilota ricco e viziato, con una poco chiara motivazione di superiorità nei confronti dei piloti provenienti dal mondo del sim racing, non rappresentando mai una significativa minaccia per il protagonista e peccando, al contempo, di carisma e di una storia personale significativa.
Un discorso diverso può essere fatto per i personaggi interpretati da Danny Moore e Jack Salter (David Harbour). Anche se Moore ha una caratterizzazione limitata come gli altri personaggi secondari, è coinvolto in dialoghi interessanti che mettono in evidenza la complessità del suo progetto e occasionalmente la sua ipocrisia nel cercare di combinare gli interessi del marketing con la promozione dei sim racer: iconico, infatti, è il dialogo tra Moore e Salter al termine dell’ultima gara al photofinish della GT Academy, dove il primo chiede se sia il caso di far vincere Jann, in quanto non risulta essere a proprio agio davanti alle telecamere.
Salter, d’altra parte, emerge come il personaggio più intrigante del film, da vecchio pilota decaduto a meccanico e ingegnere capo. Inizialmente burbero e poco empatico, sviluppa gradualmente un legame speciale con Jann, dando vita ad alcuni dei momenti più intensi della pellicola.
La parte concernente le corse automobilistiche, rappresenta l’apice del film.
In queste scene, la regia dimostra tutto il suo potenziale nel rendere le gare emozionanti ed entusiasmanti. Grazie a una varietà di inquadrature (estrapolate efficacemente dai gameplay di Gran Turismo), il regista riesce a modulare il ritmo delle corse, accelerando o rallentando per sottolineare i momenti cruciali.
Ottima anche la colonna sonora, che svolge un ruolo importante nell’accompagnare efficacemente l’azione e i cambiamenti di ritmo nelle gare.
Il momento culminante del film è la 24 Ore di Le Mans, un evento storico e cruciale per la storia di Jann nell’automobilismo. Il regista dedica tempo a mostrare la tensione dei piloti prima della gara e la solennità della cerimonia di apertura, riuscendo brillantemente a catturare l’intensità dei momenti più critici della gara, mentre mostra anche le emozioni e la tensione di dei protagonisti.
I pit-stop diventano momenti di forte pressione, contribuendo a creare uno stato d’ansia prima del ritorno in pista.
Complessivamente, la gara è ben gestita ed emozionante, offrendo una buona conclusione per un film che, nonostante i suoi difetti, riesce a intrattenere lo spettatore. Tuttavia, l’aspetto che mi ha coinvolto maggiormente riguarda le scene che descrivono gli attimi antecedenti le gare, oppure quando il protagonista si trova nell’abitacolo della sua auto da corsa prima della partenza.
Questi momenti sono descritti con una tale accuratezza da non avere dei rivali nella cinematografia automobilistica: l’ansia e la tensione che riescono ad esercitare nello spettatore, rappresentano la realtà per un qualsiasi pilota che affronta una sfida o un pericolo come quello di una gara automobilistica.
In conclusione, Gran Turismo riesce a centrare il bersaglio che si era posto nelle premesse di questo film: dimostrare come un qualsiasi appassionato di GT possa realizzare il suo sogno più remoto, diventare un pilota professionista.
Ovviamente il film non è privo di difetti, anzi, la strada per la piena maturità è ancora lunga, ma, quello che è certo, è che il mondo di Gran Turismo ha lasciato un segno indelebile nell’universo, essendo stato uno dei primi videogiochi a consentire ai comuni mortali di passare dal gioco alla realtà.