A cura di Claudio Boscolo.
Questo 2018 è stato particolarmente ricco di polemiche, chiacchiere da bar e soprattutto critiche.
Italiani popolo di santi, poeti, navigatori e affermati tuttologi.
Ed è proprio questo l’aspetto che prevale nella stagione motoristica 2018, non tanto le gare quanto i fiumi di inchiostro per esprimere il proprio disappunto via social. Una sorta di binomio inscindibile dove, chi di motori capisce ben poco, si arroga facoltà di giudizio insindacabile sui vari piloti.
Insomma ogni gara dei campionati più esposti mediaticamente si trasforma puntualmente in rissa verbale e, a volte, anche in contestazioni e fischi sotto podio abbastanza deprecabili, se non peggio.
Lungi da me essere moralista in quanto tutti abbiamo avuto momenti di rabbia, scoramento e anche incazzatura; tuttavia questo non deve giustificare certi atteggiamenti.
I piloti sono esseri umani: fanno errori, vanno fuori pista, si spalmano sulle barriere quando sono in testa, vengono richiamati ai box nel momento sbagliato perché il motorsport è composto dalla sinergia tra umano e meccanico e come ben si sa, la parte umana può incappare in grossi errori.
Dare per scontato che chi guida debba vincere per alleviare le frustrazioni quotidiane del tifoso medio non è giusto, eppure ergersi a giudice, boia e giuria pare invece la prassi.
Si è passati dal volere Raikkonen a tutti i costi via da Ferrari salvo poi, dopo Austin, pregare per un rinnovo. Si è messa in dubbio la capacità di Leclerc al primo errore a Singapore nelle Fp in un anno da Rookie da incorniciare.
Vettel è stato accolto come salvatore della patria dopo ogni abbinamento inno tedesco- inno italiano sul gradino più alto del podio salvo poi, subire un vero e proprio linciaggio mediatico dopo ogni errore.
Insomma: fai il pilota e devi vincere per me perché altrimenti ti lancio addosso tutta la mia frustrazione. Senza appello.
Nemmeno il resto della griglia si salva: dai piloti paganti alla facile e becera ironia che si riserva a quelli più lenti, quasi che la griglia debba essere composta solamente da quei 4 piloti di talento innato mentre gli altri debbano stracciare la superlicenza e diventare lo zimbello comico della settimana.
Insomma molla tutto e buttati in pasto ad uno “Zelig” 2.0 per il giubilo delle folle.
Eppure back in the days anche i piloti paganti più lenti erano ammirati e rispettati solo per il fatto di poggiare le chiappe su una monoposto o una moto e sfrecciare a velocità folle rischiando, non metaforicamente, l’osso del collo.
Certo, adesso si danno per scontati tanti aspetti e trovo ridicolo che un pilota di oggi debba sentirsi svilito o dileggiato solo perché corre in un campionato più sicuro e diverso rispetto a 30 anni fa.
Essere piloti non è per tutti, ben pochi ci riescono a fronte di sacrifici non indifferenti eppure essere nell’elite della velocità, a volte, è quasi una colpa agli occhi di tanti pseudotifosi.
Forse per riavere rispetto ne devono tornare a bruciare in incidenti un paio ogni week-end?
Forse si, oppure nemmeno questo scalfirebbe la passivo-aggressività del critico da divano.
Di fatto, ogni maledetta domenica, si deve assistere a polemiche sterili, teorie complottiste varie passando per il solito linciaggio e dileggio del Vettel di turno.
Nelle due ruote la situazione non è migliore. Ormai la diatriba tra Rossi e Marquez è bella che consolidata e, anche se i duelli in pista tra i due non sono più frequenti come un paio di stagioni fa, la situazione tra le schiere di supporters ed haters reciproci non accenna a calmarsi.
Qualunque cosa faccia Rossi è oggetto di santità da parte dei propri tifosi e, di contro, motivo di lapidazione mediatica da parte degli haters. Il discorso non cambia se sulla moto mettiamo il numero 93.
Automaticamente non si è più liberi di apprezzare un aspetto o una gara di uno o dell’altro senza essere etichettato come “canarino e fan del bollito” oppure come “traditore della patria e fan dello spagnolo”. Quasi fosse una colpa apprezzare un pilota rivale.
Questo non fa bene al movimento motoristico; rendersi ridicoli, insultarsi ed insultare chi rischia la vita in pista per frustrazioni personali non è concepibile nel quasi 2019.
Certo, non è un vezzo tutto tricolore quello di aver reso sia le piste che le pagine Facebook e Instagram dei veri e propri anfiteatri di epoca romana dove dare sfogo alla propria bestialità eppure ci difendiamo decisamente bene.
Quello che mi auguro per la stagione a venire è un tifo di supporto, costruttivo e non la solita sequela di insulti e di auguri di morte dolorosa.
Poi quando il morto ci scappa davvero siamo tutti #JB17 o #Sic58.
Auspico meno arroganza da parte di chi critica tout court piloti e squadre senza avere minimamente consapevolezza delle dinamiche di una gara.
Spero in un clima più disteso e di spettacolo, con la voglia di divertire in pista e di divertirsi davanti al televisore o sugli spalti.
Il motorsport è qualcosa di unico e magico e non dobbiamo permettere che la parte più bestiale e irrazionale del tifo vanifichi la magia.
Mi auguro veramente più apprezzamento per i piloti, perché parte di questa magia chiamata motorsport la dobbiamo in larga parte a loro e io sarò dalla loro parte, sempre.