A cura di Umberto Moioli.
Mentre nel “mondo moderno”, tristi circuiti cittadini senza storia né fascino diventano teatro di gare per frullator… pardon, per macchine elettriche senz’anima, acclamate da orde di “People 2.0” che, tra un pranzo eco-vegan-green e soluzioni politicamente corrette al problema dell’inquinamento globale, si divertono a votare sul cellulare per dare il “Fanboost” a questo o quel pilota, i motori, le macchine ed il motorsport sono tornati ad essere protagonisti su quel circuito così leggendario e al tempo stesso così spaventoso che è Imola, per un appuntamento davvero speciale: il Motor Legend Festival. Con tre testimonial di assoluta eccellenza – Riccardo Patrese, Arturo Merzario e Giacomo Agostini – quella dello scorso weekend è stata infatti la prima edizione del Motor Legend Festival, una manifestazione voluta e realizzata da Vito Piarulli e Andrea Gallignani, che con coraggio e audacia hanno raccolto il grido silenzioso di tutti coloro, sempre più eclissati dai dettami di una disciplina (quella motoristica in generale) ormai piegata alle logiche gossippare e mediaticamente votate ad un pubblico per lo più becero e impreparato, schifati da piloti, squadre ed organizzatori che hanno dotato i paddock di livelli di accesso tramite Pass più consoni all’Area51, che hanno piano piano abbandonato le piste per rifugiarsi tra i tanti video della “Golden Age” di cui si è riempito YouTube. Ed ecco che, quindi, sono tornate a risuonare le vetture da corsa che hanno scritto la storia degli anni ’70, degli anni ’80, attempati quanto ancora scintillanti e velocissimi prototipi del mondiale endurance a darsi il cambio con le Master Historic Formula One e quindi con le monoposto da Formula Uno di Schumacher, di Mansell e quelle dei facoltosissimi protagonisti del programma Clienti Corse Ferrari, sia al volante di più recenti F1, sia al volante delle particolarissime XX – tra le quali in pista ha spiccato la nuovissima quanto costosissima FXX-K EVO. Ma insieme alle vetture non potevano certamente mancare i nomi di coloro le cui gesta sportive le hanno rese indimenticabili: tra i tanti piloti leggendari che hanno animato il paddock e la pista di Imola c’erano infatti Jacky Ickx, Mauro Forghieri, René Arnoux, Emanuele Pirro, Dindo Capello, Pier Luigi Martini, Johnny Alberto Cecotto, Jean-Pierre Jassaud, Erik Comas e tanti altri, tutti pronti a fare qualcosa che nel motorsport di oggi è diventata una pratica più arcana dei riti satanici: parlare con la gente. Raccontare aneddoti, soffermarsi qualche minuto di più dopo una foto ed un autografo e non scappando via invece con la velocità ed il disprezzo di chi sembra dover avere a che fare con lebbrosi appestati, tipico dell’atteggiamento dei piloti moderni. Ed infine, veri ed assoluti protagonisti sono stati i suoni, quelle musiche così diverse ma tutte con un proprio perché, una propria storia, una propria filosofia dietro, dei tantissimi motori che hanno risuonato tra i saliscendi dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari. Il canto dei V12 da F1, l’urlo diabolico dei V10, così come il suono del V12 Boxer della Porsche 917K e delle tantissime altre vetture da corsa che ad ogni passaggio facevano rizzare i peli sulle braccia alla gente, regalando brividi rivolti dritti all’anima. Perché in fin dei conti, che cos’è il motorsport, che cosa sono le macchine e le moto senza quei suoni – spesso così peculiari – che rendono unico questo mondo? Beh, quello che volete, ma non certo motorsport. E adesso che la prima edizione del Motor Legend Show è già andata in archivio, l’attenzione è tutta protesa al 2019, per un appuntamento che saprà richiamare ancora più persone, da ogni parte d’Italia ma anche d’Europa, perché la nostalgia è tanta, nostalgia per quel magico periodo in cui la passione era mossa e alimentata da macchine vere, senza tante menate di omologazioni, paranoie eco-green e regolamenti astrusi, e da gare combattute in pista – e non sulla stampa o tramite meme – in cui il pericolo (quello autentico, non “millantato” come nella F1 odierna) era davvero percepito dalla gente e che rendeva Leggende (e non personaggi) coloro che salivano in macchina. E’ forse proprio il caso di dirlo: “Si stava meglio quando si stava peggio”.