A cura di Pietro Di Spaldro.
Lo sviluppo tecnologico, e con esso l’applicazione dei materiali e le innovazione dei dispositivi che permettono di guidare, hanno negli anni rivoluzionato lo stile di guida di auto e moto; ma non sempre le innovazioni arrivano “dal futuro”. Ne è un esempio, sulle moto, il metodo di azionamento del freno posteriore via pollice, che recentemente è tornato alla ribalta della cronaca dopo 20 anni dal suo arrivo.
Noto anche come “thumb brake” (freno a pollice), questo dispositivo consta di una leva applicata in una posizione vicina a quella del semimanubrio sinistro, di due morse che assicurano il tutto allo stelo della forcella e di un cilindro maestro con relativi perni, viti, ecc.
Se dovessimo infatti identificare il momento in cui questo dispositivo ha avuto la sua genesi bisognerebbe certamente prendere come riferimento assoluto il 26 giugno 1992, giorno delle prove del GP di Assen valido per il Motomondiale della Classe 500. In questa (quasi funesta) data Mick Doohan, cavallo di battagli di HRC, subisce un devastante incidente che, in un certo senso, è stato lo spartiacque della sua carriera.
Durante le prove Doohan, infatti, cadde e la sua gamba destra rimase incastrata sotto la sua Honda NSR 500, che l’aveva portato (fino ad allora) a vincere tutte le gare (o quasi) del mondiale 1992. Un incidente dalla dinamica inquietante che portò la gamba di Doohan a rimanere schiacciata dai 140 Kg della sua moto. Trasportato d’urgenza in ospedale, i medici olandesi procedettero con una metodologia curativa totalmente sbagliata, tanto che nell’arco di poche ore sopraggiunsero complicazioni tali che rischiarono di portare all’amputazione dell’arto del pilota.
Ma se la storia del “rapimento” del Dt. Costa, del suo ardito trattamento chirurgico, della riabilitazione e di ciò che avverrà dal 1994 a Jerez 1999 la conosciamo tutti, forse invece non tutti sanno che nonostante ciò e nonostante tutto quello che poi vince, Doohan non riuscì però a recuperare determinate funzionalità e movimenti della gamba destra. Handicap che rese l’utilizzo di un freno a pedale praticamente inutile, se non addirittura deleterio. Bisognava, perciò, sviluppare una nuova soluzione tale da permettere al pilota della Honda di modulare la frenata in maniera perfetta ed efficace. Fu così che gli uomini della Brembo ebbero il colpo di genio, dando vita al sistema che, in queste settimane, è tornato sulla bocca di tutti gli appassionati di moto.
Doohan però ebbe bisogno di un periodo lungo tra riabilitazione ed autoapprendimento del sistema, tanto che le ultime gare del 1992 e il mondiale 1993 furono considerate di transizione, nonostante comunque il grande numero di podi ottenuti a partire dalla metà della stagione. Ma finiti i problemi di apprendimento e di riabilitazione fisica, Doohan dal 1994 fino a Jerez 1999 diventò il dominatore assoluto del motomondiale (nel 1997 vinse “solo” 12 gare su 15, ottenendo due secondi posti ed un solo ritiro, un vero e proprio monologo).
Una delle ragioni del suo strapotere in sella alla NSR, secondo molti, era infatti dato proprio dal particolare dispositivo di azionamento del freno posteriore che non era stato nemmeno montato in deroga ai regolamenti tecnici, dato che non era assolutamente vietato (ma forse neppure teorizzato). Motivazione, questa, che portò alcuni piloti del Circus ad utilizzare la stessa soluzione, salvo poi ritornare al classico pedale visti i lunghi tempi di apprendimento.
Effettivamente però dei vantaggi dati dall’utilizzo di tale soluzione ci sono: quello principale, ai fini del tempo sul giro, è dovuto al fatto che la mano sinistra in un pilota di moto ha una sensibilità anche più elevata di quella della mano destra, quindi potete immaginare quanto maggiore possa essere la sensibilità rispetto alla gamba destra. Questa peculiarità può quindi portare ad un utilizzo ed una modulazione della frenata estremamente più precise rispetto al comando classico, con un chiaro vantaggio in percorrenza di curva laddove si utilizza il freno posteriore per apportare piccolissime correzioni. In pratica, un’operazione che fa della sensibilità il suo vero punto di forza.
Un vantaggio, forse secondario ma da non sottovalutare, è di tipo ergonomico: i piloti con un piede di taglia superiore alla 44 possono infatti riscontrare una certa scomodità nell’utilizzo del freno in determinate situazioni, specialmente quando lo spazio di luce, nelle pieghe verso destra, è estremamente ridotto proprio a causa dei grandi angoli di piega che le moderne moto consentono. Ovviamente bisogna considerare che un azionamento non preclude l’altro, poiché potendo garantire un doppio circuito che porta il liquido alla pinza, si può utilizzare indistintamente il freno a leva o quello a pedale semplicemente in base alla situazione, allo stile di guida e alle necessità del pilota stesso.
Dicevamo che il dispositivo di azionamento del freno via pollice è tornato agli onori della cronaca a seguito dei grandi risultati ottenuti da Dovizioso e Petrucci con le due Desmosedici (e non solo loro perché l’adozione di questo metodo è comparsa anche nel Mondiale Superbike): la guida dei due piloti italiani ha infatti avuto una notevole evoluzione proprio in percorrenza di curva dove, utilizzando questa soluzione, riescono ad andare fortissimo apportando correzioni infinitesime che rendono praticamente ottimali le traiettorie sfruttate.
Come ingegnere, un sistema del genere l’ho sviluppato anche io sul mio progetto di moto (una sportiva con motore 550 V2 con un telaio monoscocca, ancora da sviluppare, che rende il motore portante ed il forcellone infulcrato al motore stesso) semplicemente perché sono abituato ad usare il freno posteriore con la mano sinistra più che col piede destro (ma ciò non toglie eventuali sviluppi in cui i due sistemi impareranno a coesistere).
Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire dove posizionarlo, che geometria delle morse utilizzare e per capire anche come regolare il cinematismo della leva (ma questa forse era la parte meno difficile, dato che la forza ha una direzione diretta in avanti, la coppia è oraria e quindi era facile determinare anche la traslazione del piolino che esercita la pressione nel cilindro maestro) e alla fine, utilizzando come riferimento la forcella anteriore di una Suzuki GSX-R 750 K7, ho optato per la sua collocazione proprio sotto il semimanubrio sinistro
Siccome dovrà essere in alluminio 7075 (per gli amici ergal, lega di alluminio con un peso di 2,81 g/cm^3) il peso di tutto il sistema, escluso il cilindro maestro, sarà di soli 107,33 g. Bello, no?
Certamente, però, un sistema del genere potrebbe togliere le castagne dal fuoco a molta gente anche nell’utilizzo sulle strade di tutti i giorni per evidenti ragioni di sicurezza (ipotizzando eventuali problemi nel pedale o ipotizzando una rottura del pedale stesso che lo renderebbe inutilizzabile) o di ergonomia (venendo così incontro, ad esempio, a coloro che evidenziano problemi articolari alla gamba destra). Purtroppo, però, la sua curva di apprendimento non proprio favorevole lo confinerà con tutta probabilità esclusivamente a prototipi più unici che rari (anche se spero vivamente di sbagliarmi).