Senti sempre gli altri che dicono “la notte di Le Mans è il momento migliore della gara”. Falso. Per quanto mi riguarda è il momento più bello da molto tempo. Da molto prima che cominciasse questa edizione della 24 Ore di Le Mans.
Quando ho iniziato a scrivere per questo blog, scrivevo qualche post sulla Formula 2, sulla IndyCar, qualcosina sul WEC, ma non più di tanto.
Scrivevo le notizie che scrivevano altre testate: risultati non appena finite le gare, riassunti, un po’ di approfondimenti. D’altronde, per me quello voleva dire fare il giornalista. Ed effettivamente è quello il lavoro da giornalista: dare alle persone notizie da leggere. Ma questo blog non è nato con questo obiettivo. Certo, lo abbiamo rincorso per un po’, perché così facevano gli altri e pensavamo fosse il modo migliore di arrivare in alto. Ma inseguire le notizie, cercare di essere veloci ed essere i primi a pubblicare, dire l’essenziale perché qualunque opinione ti porta merda addosso, ci è sempre stata stretta. Mi è sempre stata stretta. Io sono un tipo silenzioso, che sta sulle sue. Non mi piace parlare di me, ma come tutte le persone sento il bisogno di farlo, io devo farlo.
Quando ho avuto l’opportunità di andare a seguire una gara da dentro (la famosa 12 ore del Mugello che continuo a linkare ogni volta che parlo di me, e che continuerò a fare), non sono stato in sala stampa a seguire la tabella dei tempi e pubblicare i risultati. Quella è una cosa che si può fare da casa, il live timing spesso è pubblico e disponibile. No, sono rimasto nei box, a capire come funzionavano le corse, a stupirmi di cose stupide mai mostrate da nessuno. Come una lavatrice. Sì perché, dovete sapere, (e se ci pensate è incredibilmente ovvio) che i piloti sudano alla guida, e le tute che indossano vanno lavate. Quindi fuori da ogni box (ma se non sono lì saranno da qualche parte in una hospitality) c’è una lavatrice, spesso accesa. Oppure potreste trovare meccanici che lavano i cerchioni dai pezzi di gomma calda.
Insomma, è questo il bello delle corse. Capire che non c’è niente di alieno, che ci sono persone che sono persone, con i classici bisogni e desideri degli esseri umani. Come Micheal Christensen, pilota ufficiale Porsche e campione del mondo nella classe GTE Pro, che trova faticosa la settimana di Le Mans. Per lui dieci giorni di eventi senza sosta sono stancanti, per quanto belli. E io adesso sono qui, sulla tribuna stampa del circuito di Le Mans, a scrivere questo articolo sul cellulare appena calata la notte e con i fuochi d’artificio dietro di me.
Poco fa ero sempre su questa tribuna, al tramonto, guardando il cielo che prometteva tempesta e che rendeva più magico il tramonto di fuoco classico di ogni 24 ore. Ogni tanto un’occhiata alla tribuna principale, l’unica cosa che riesce a portarmi con i piedi per terra e mi fa ricordare di essere a Le Mans. A Le Mans.
Quando abbiamo richiesto l’accredito io e Claudio Boscolo pensavamo sinceramente di non ricevere una risposta positiva. E invece è arrivata (anche se molto sofferta). E ora sono a Le Mans. A Le Mans. Al centesimo anniversario.
Ieri si è svolta la celebrazione della storia di questa corsa. 100 anni ragazzi. Una fila di macchine storiche che hanno vinto questa gara, ed io ero qui a guardare la storia che veniva celebrata e rivissuta. A guardare quella tribuna lì di fronte e pensare “sono a Le Mans”. E sì, sono a Le Mans e spero che questa notte non finisca mai.